Perché non è troppo tardi per investire sulla mobilità di domani
Sentiamo sempre più spesso parlare di transizione energetica, auto elettriche, mobility as a service, auto-robot a guida autonoma. Non percepiamo però la portata epocale che queste innovazioni, nel loro insieme, avranno sui sistemi di mobilità e di logistica nei prossimi decenni , sulle filiere industriali a essi collegati e sulla società e la economia nel loro complesso.
Anche in questo caso la storia dovrebbe essere magistra vitae. Nella storia dei trasporti le innovazioni tecnologiche hanno provocato cambiamenti radicali, disruptive, nel giro di un tempo limitato (rivoluzioni) e cambiamenti lenti e graduali (evoluzioni).
Le sei rivoluzioni del trasporto precedenti a quella attuale, traevano spunto da un “elemento guida”, una innovazione tecnologica che riguardava la fonte energetica (trazione animale, navigazione a vela, trazione a vapore, trazione a combustione interna), in altri casi la tecnologia di moto (la ruota) o di trasferimento (la logistica del container). Oggi sono in atto contemporaneamente innovazioni potenzialmente “disruptive” in diversi settori: i sistemi di guida autonoma e di connessione dei veicoli di tutti i tipi, le fonti e i vettori dell’energia di trazione, i modelli di produzione dei servizi di mobilità e di trasporto e, forse, nuovi veicoli e sistemi di trasporto. I treni, le auto, le navi, gli aerei che usiamo oggi sono sostanzialmente evoluzioni di tecnologie disponibili 70 o 100 anni fa. Nulla di confrontabile, ad esempio, a quanto successo nel mondo dell’informatica, delle telecomunicazioni o dell’intelligenza artificiale. Delle vere rivoluzioni che fino a 30 anni fa nessuno prevedeva. Nel film «Blade Runner», del 1982, si immaginava una società nel 2019 con auto volanti, ma con computer preistorici e senza smartphone.
La mobilità del futuro che oggi si immagina è molto diversa: un sistema che consente al viaggiatore di scegliere in un menu di opzioni il programma di viaggio con alternative che, a seconda dei casi, includono veicoli a guida autonoma da soli o in condivisione con altri viaggiatori, tratti in bici e in treno, con orari e prezzi diversi in funzione dei livelli di congestione e dell’anticipo di prenotazione, pochi minuti o diversi giorni. Nello scenario del futuro ci si immagina auto, bus e autocarri, treni, aerei e navi che guidano da soli, scambiando informazioni fra loro e con l’infrastruttura per ottimizzare la rete, l’abbandono della benzina e degli altri derivati del petrolio come fonti di energia per la trazione sostituito dell’elettrico per le auto e, forse, dall’idrogeno come accumulatore di energia per autocarri e navi. Tutte queste innovazioni sono già in atto. Basti pensare alle metro automatiche, alle auto con sistemi di ausilio alla guida sempre più avanzati, per non parlare della Google car che ha percorso milioni di chilometri in guida completamente automatica. Ancora la diffusione di auto elettriche e ibride, la spinta dell’idrogeno, i servizi di infomobilità e di sharing appartengono alla cronaca quotidiana. La combinazione di queste innovazioni avrà certamente i connotati di una rivoluzione, la settima appunto. Ma basandosi sulla eterogenesi dei fini e la “superadditività” riscontrate nelle rivoluzioni precedenti, dovremmo pensare che la combinazione di queste e altre innovazioni in atto potrà presentarsi in forme di mezzi di trasporto o di organizzazione degli stessi che oggi non immaginiamo nemmeno. Le implicazioni sono potenzialmente enormi: basti pensare agli impatti sulle funzioni urbane, e sul costo del trasporto, che si avrebbero eliminando o riducendo autisti ed equipaggi (con tutti i problemi di riconversione del lavoro) o alla possibile riorganizzazione della produzione e della logistica se carico, scarico e trasporto delle merci fosse automatizzato.
Queste trasformazioni avranno impatti notevoli sull’industria e tutti i sistemi geopolitici del mondo stanno investendo centinaia di miliardi nella «settima rivoluzione dei trasporti». È legittimo chiedersi quale sarà il ruolo del nostro Paese. C’è un interesse italiano dentro quello europeo? Ci sono comparti industriali e centri di ricerca competitivi sui quali investire per partecipare non da follower a questa rivoluzione? Penso di sì anche se abbiamo perso pezzi importanti della industria nazionale automobilistica e ferroviaria che nel dopo guerra erano arrivate a livelli di eccellenza mondiale. Ma ci sono industrie nazionali molto competitive e industrie del futuro che oggi ancora non vediamo. Un investimento congiunto di attività produttive e ricerca sulla mobilità del 2050 sarebbe in linea con una visione del Paese da lasciare alla prossima generazione. Mi auguro che il Pnrr colga questa opportunità.
Fonte: ilsole24ore.com